Chi mantiene da solo il figlio ha diritto di regresso verso l'altro genitore (Cass. Civ. sez. VI
Al genitore che ha sempre sostenuto da solo, fin dalla nascita, le spese per il mantenimento del figlio spetta il diritto a essere rimborsato dall'altro genitore.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, VI sezione civile, nell'ordinanza esaminata.
Gli Ermellini hanno respinto il ricorso del padre naturale condannato a versare un assegno di mantenimento al figlio minore di 500 € mensili (oltre il 50% delle spese mediche non coperte dal SSN e di istruzione). Inoltre, poiché del figlio il genitore si era disinteressato da sempre, i giudici di merito lo condannavo anche anche a rifondere alla madre del bambino 10.000 € per le spese che lei sola aveva sostenuto fin dalla nascita del piccolo.
Una decisione che il padre contesta in Cassazione sotto plurimi profili che, tuttavia, non colgono nel segno. Soffermandosi sul rimborso delle spese di mantenimento del minore, il Collegio rileva che, ove ad esse abbia provveduto integralmente uno soltanto dei genitori (come pacificamente accaduto nella specie), a questi spetti il diritto di agire in regresso per il recupero della quota relativa al genitore inadempiente, secondo le regole generali sul rapporto tra condebitori solidali.
Per gli Ermellini, ciò si desume, in particolare, dall'art. 148 c.c. (richiamato dall'art. 261 c.c., entrambi nei rispettivi testi, qui applicabili ratione temporis, vigenti anteriormente al D.Lgs. n. 154/2013, entrato in vigore il 07/02/2014, che, prevedendo l'azione giudiziaria contro tale genitore, postula il diritto del genitore adempiente di agire (appunto in regresso) nei con fronti dell'altro (cfr. Cass. n. 15063/2000 e n. 10124/2004).
Nulla di fatto anche per le censure del padre quanto all'entità del rimborso impostogli, che si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo. Ma la Cassazione rammenta che non è consentito ridiscutere in sede di legittimità gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative. Questo perché il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.