Comune inerte responsabile per i danni non patrimoniali derivanti da immissioni sonore e turbativa d
La condotta colpevole del Comune che non esercita i poteri di vigilanza dopo la concessione del suolo pubblico ne determina la responsabilità e deve rispondere dei danni non patrimoniali per lo sconvolgimento dell'ordinario stile di vita.
E’ quanto stabilito dalle SS.UU. della Cassazione con la sentenza n. 2611 depositata il 1°/02/2017.
Una famiglia proponeva citazione nei confronti del Comune e di un comitato per i festeggiamenti del Santo patrono chiedendo di condannarli al risarcimento dei danni, in conseguenza del posizionamento del palco a meno di un metro dalla propria abitazione.
Oltre ad aver ostacolato l'accesso, e aver determinato immissioni sonore a turbativa della vita domestica, addebitava al Comune anche la responsabilità per non averlo fatto smontare una volta finiti i festeggiamenti, e aver conseguentemente consentito che fosse utilizzato per giochi e schiamazzi da parte dei ragazzi locali.
Il comune contestava il fondamento della domanda, sostenendo di non aver alcun obbligo di vigilanza: il suo intervento istituzionale si era esaurito con il rilascio della concessione amministrativa per l'installazione della pedana sul suolo pubblico.
Il Tribunale adito rigettava le domande degli attori, ma in secondo grado la Corte di Appello le accoglieva.
Il Comune propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello, affidandosi a tre motivi.
Il ricorso viene rigettato dalla Suprema Corte.
Per la Cassazione, il secondo motivo proposto dal comune ricorrente va esaminato con priorità logica: con tale motivo «il Comune eccepisce la carenza di giurisdizione dell' AGO in ragione del fatto che i danni lamentati sarebbero stati in stretta correlazione con il presunto cattivo esercizio dell'attività provvedimentale».
Il Collegio ritiene tale motivo inammissibile «perché la giurisdizione ordinaria non è mai stata contestata nei precedenti gradi di giudizio, di tal che le domande e le difese delle parti l'hanno sempre presupposta; ne deriva che il punto non è più suscettibile di ulteriore verifica».
E spiegandone le ragioni, precisa che «va infatti messo in evidenza che nel caso di specie sin dal primo grado di giudizio la res controversa era costituita dalla lesione della sfera patrimoniale e personale delle allora parti attrici causata da un'attività del privato - il Comitato per i Festeggiamenti di San P. - assentita dal Comune e da questi non adeguatamente vigilata nel suo svolgimento: a fronte di ciò l'ente territoriale aveva impostato sin da allora la propria linea difensiva sulla non diretta incidenza dell'attività amministrativa nell'ambito del privato».
La Suprema Corte passa quindi a esaminare il primo motivo, con il quale «viene denunciata la violazione degli artt 1227 e 2043 c.c. innanzi tutto perché la tutela risarcitoria presupporrebbe un'attività illegittima della PA, in concreto non riscontrabile: all'uopo sottolinea il Comune ricorrente che le controparti non hanno mai chiesto l'accertamento della illegittimità provvedimentale di esso ricorrente, presupposto per attivare la propria responsabilità; in secondo luogo assume che non sarebbero risarcibili i danni derivanti dall'attività del Comitato in quanto evitabili" per la mancata diligente utilizzazione degli strumenti di tutela previsti dall'ordinamento (è richiamata Cons. Stato Sez. IV, n. 1750/2012); sotto diversa ottica poi parte ricorrente lamenta che la Corte di Appello sia pervenuta alla identificazione di una propria responsabilità aquiliana senza un'appropriata indagine sull'effettiva presenza di tutti gli elementi contemplati nell'art 2043 c..: quanto all'ingiustizia del danno, atteso che non avrebbe valutato la mancata impugnativa del provvedimento autorizzatorio; quanto al nesso di causalità tra potere esercitato e l'evento di danno (concretatasi nell'ostacolo all'ingresso alla propria abitazione), dal momento che non avrebbe posto a mente che, una volta emesso il provvedimento che autorizzava il posizionamento del palco, ogni diversa conseguenza pregiudizievole per i terzi sarebbe derivata dalle modalità esecutive di esclusiva spettanza del Comitato, che dunque non potevano essere fatte risalire a propria responsabilità; quanto infine all'elemento soggettivo del dolo o della colpa ne assume l'assenza , ribadendo la legittimità del proprio operato.
Ma la Cassazione ritiene infondato anche il primo motivo: «Va innanzi tutto messo in evidenza che il petitum sostanziale (causa petendi in relazione alla concreta fattispecie) posto a base della originaria domanda conteneva non già una censura all'esercizio del potere amministrativo manifestatosi con il provvedimento di concessione di suolo pubblico, ma si concretizzava in una denuncia del mancato esercizio dei poteri di vigilanza successiva su come sarebbe stato utilizzato il palco - sia nei giorni stabiliti per il festeggiamento del Santo Patrono, sia nell'estate successiva da parte della cittadinanza-; si aggiunga che l'art 7, c. 4, del decreto legislativo n. 104/2010 non è richiamabile a disciplina della fattispecie, ratione temporis (la domanda è stata introdotta con citazione notificata nel dicembre 2003) e comunque non sarebbe applicabile perché il c. 4 fa rientrare nella giurisdizione generale amministrativa le controversie anche risarcitorie, per lesione di interessi legittimi - posizione giuridica che non viene mai rivendicata dai ricorrenti che si sono sempre doluti della violazione di propri diritti assoluti - e il comma quinto attrae nella ridetta giurisdizione generale amministrativa anche le controversie risarcitorie per lesione di diritti soggettivi, ma a condizione che si verta in materia di giurisdizione esclusiva - positivamente da escludersi, nella fattispecie ».
Per il Collegio «Appare allora evidente che l'affermazione della sussistenza di un diritto soggettivo che si assume leso dalla condotta - e non dal provvedimento - del Comune, toglie di sostanza alle censure attinenti al mancato sindacato dell'atto amministrativo innanzi al giudice amministrativo, come condizione per l'azione risarcitoria nei confronti del Comune».
La Suprema Corte rileva che «Dal momento poi che i controricorrenti avevano lamentato una lesione di propri diritti soggettivi assoluti, da far risalire - come detto - non già all'autorizzazione concessa dal Comune, quanto piuttosto all'inerzia che l'ente locale avrebbe serbato, pur a fronte delle loro reiterate proteste, a causa del perdurare della situazione dannosa e che la Corte del merito ha poi specificato che entrambe le parti convenute erano chiamate a risarcire i danni in quanto il Comitato aveva posto in essere le condizioni materiali della situazione dannosa e l'ente territoriale aveva omesso di intervenire per porvi rimedio - in tal modo localizzando (con statuizione non specificamente impugnata) l'insorgenza della condotta censurata in epoca successiva all'emissione del provvedimento -, da ciò deriva la sussistenza dell'elemento colposo che consente di addebitare al Comune le conseguenze della propria inerzia che concretizzava un agire non jure e contro jus per la situazione che si era venuta a creare - ostacolato ingresso all'abitazione dei controricorrenti per tutto il periodo estivo (da che il palco non era smontato tra uno spettacolo e l'altro); la sussistenza poi di emissioni sonore e luminose ( per il solo periodo dei festeggiamenti) - che ben avrebbe potuto esser evitata con l'ordine di riposizionare il palco dall'altro lato della piazza (come risulta essere avvenuto due anni dopo) messa in relazione all'inerzia serbata dall'Ente territoriale nel frangente, costituiva indice certo ed ulteriore della sua colpa».
Il Collegio passa a esaminare il terzo e ultimo motivo «formulato in via subordinata al rigetto del precedenti» con il quale «viene denunciata la violazione dell'art. 2059 c.c. nonché la violazione degli artt. 3, 32 e 41 della Costituzione, laddove la Corte distrettuale ebbe a riconoscere la sussistenza di danni non patrimoniali, pur in assenza dei loro presupposti - indicati: o nell'esistenza di una condotta astrattamente qualificabile come reato; o nella grave lesione di interessi costituzionalmente garantiti».
Il motivo è ritenuto infondato in quanto «sebbene il referente normativo della lesione al godimento della propria abitazione non possa essere rinvenuto nell'art. 41 della Costituzione, sibbene nell'art. 42, II c., che tutela la proprietà privata e detta i limiti per la compressione del relativo diritto, la base fattuale posta a fondamento della sentenza - dalla quale è emerso che sebbene l'abitazione fosse munita anche di un accesso secondario, il secondo era di dimensioni esigue e spesso neppure sufficienti al concreto uso - non è stata specificamente contestata; per quello poi che riguarda la prova del danno alla salute, premesso che non è stato richiesto il risarcimento del danno biologico determinato dalle immissioni sonore e luminose di cui all'art. 844 c.c. bensì si è fatto valere il pregiudizio non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell'ordinario stile di vita, va data continuità all'indirizzo interpretativo di recente espresso in sede di legittimità, in forza del quale il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi (vedi Cass. Sez. 3, n. 20927/2015); ne consegue che la prova del pregiudizio subito può essere fornita anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza ( sul punto vedi Cass. Sez. 3 n. 26899/2014). Nella fattispecie la dimostrazione del pregiudizio è stata ricavata dall'esame della natura e dell'entità delle immissioni sonore e luminose, con ragionamento non specificamente censurato».
La Cassazione rigetta quindi il ricorso.
La Cassazione ha messo in evidenza che quanto chiedevano gli attori non era una censura all'esercizio del potere amministrativo in sede di rilascio della concessione di suolo pubblico, ma il mancato esercizio dei poteri di vigilanza successivi su come sarebbe stato utilizzato il palco.
Gli attori non hanno invocato la tutela di interessi legittimi, ma la violazione di diritti soggettivi assoluti, i quali - ad esclusione dei casi in cui si verta in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (che qui non ricorre) - ricadono nella giurisdizione del giudice ordinario.
La lesione dei diritti soggettivi degli attori derivava dalla condotta - e non dal provvedimento - del Comune, e nel caso di specie non è stato chiesto alcun risarcimento del danno biologico, bensì quello - non patrimoniale - a fronte dello sconvolgimento dell'ordinario stile di vita. Tale danno che è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato.
Ed è risarcibile in quanto trattasi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è rafforzata dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (art. 8).