Decreto di archiviazione: notifica via Pec valida anche se manca provvedimento attestante la funzion
La sezione V penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4500 del 26/10/2016, torna ad occuparsi della validità o meno della notifica effettuata al difensore dalla cancelleria tramite la posta elettronica certificata pur in mancanza dell’emissione del decreto attestante la funzionalità del servizio telematico degli uffici giudiziari.
Nel caso di specie con decreto del 09/11/2015 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa aveva disposto l’archiviazione del procedimento aperto per il delitto di lesioni e l’inammissibilità dell’opposizione formulata dalla parte offesa.
Il citato decreto veniva notificato dalla cancelleria attraverso la posta elettronica certificata all’indirizzo PEC dei difensori delle parti offese le quali decidono di proporre ricorso fondato su tre motivi:
con il primo motivo deducono la violazione degli articoli 125 e 410 c.p.p., ed il difetto di motivazione, posto che, nel decreto, non vi era motivazione alcuna in ordine alla eccepita mancata notifica a mezzo pec della richiesta del pubblico ministero;
con il secondo motivo deducono la violazione degli articoli 148, 149, 150 e 151 c.p.p. e D.L. n. 179 del 2012 art. 16 c. 9 lett. c) bis e della circolare del Ministro della Giustizia del 1 dicembre 2014;
con il terzo motivo deducono la violazione degli articoli 125 e 410 c.p.p., e difetto di motivazione posto che il giudice aveva dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione al di fuori delle ipotesi tassative previste dalla legge.
In particolare, con il secondo motivo, premessa la violazione degli articoli 148, 149, 150 e 151 c.p.p. e D.L. n. 179 del 2012 art. 16 c. 9 lett. c) bis e della circolare del Ministro della Giustizia del giorno 01/12/2014, i ricorrenti concludono affinchè la notifica effettuata tramite PEC del decreto di archiviazione venga dichiarata nulla e ciò in quanto, da una parte, pur essendo vero che la L. n. 24 del 2010, rinnovata dalla L. n. 221 del 2012, ha previsto che le notifiche avvenissero a mezzo posta elettronica certificata ma non risultava però emesso (al momento della notifica) il decreto attestante la funzionalità del servizio telematico degli uffici giudiziari di Siracusa e, dall’altra, si sosteneva che tale mezzo di notifica doveva essere utilizzato solo per quei casi in cui urgenza ed opportunità lo avrebbero suggerito o imposto dovendo quindi essere espressamente disposto dalla autorità giudiziaria e ciò nel rispetto degli articoli 148, 149 c.p.p. e segg.-
Come è noto, l’art. 16 c. 4 del D.L. n. 179/12 dispone che “Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148 c. 2-bis, 149, 150 e 151 c. 2 c.p.p.- La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria”; il successivo c. 9 c – bis dispone altresì che la disposizione di cui al c. 4 si applica, “dal 15/12/14 per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148 c. 2-bis, 149, 150 e 151 c. 2 c.p.p. nei procedimenti dinanzi ai tribunali e alle corti di appello”.
Appare quindi evidente e pacifico come dal 14/10/2014 per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148 c. 2-bis, 149, 150 e 151 c. 2 c.p.p., nei tribunali e corti d’appello, non può che essere utilizzata la posta elettronica certificata a meno che con tale strumento non sia possibile procedere per causa non imputabile al destinatario, nel qual caso nei procedimenti penali, si applicano gli artt. 148 e segg. c.p.p.-
La circolare del Ministero della Giustizia del giorno 11/12/2014, avente ad oggetto l’avvio del sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali ai sensi della richiamata normativa, altresì ribadiva come le notifiche telematiche dovevano intendersi consentite anche nella fase delle indagini preliminari sin dal momento dell’iscrizione della notizia di reato ex art. 335 c.p.p., e prima ancora che fosse richiesto o intervenuto un provvedimento del giudice.
Sulla medesima questione (notifica al difensore tramite PEC in assenza di decreto attestante la funzionalità del servizio telematico degli uffici giudiziari) già si era soffermata la terza sezione penale della Suprema Corte con la decisione n. 43947 del 18/10/2016 la quale aveva concluso ritenendo “…corretta è la soluzione della Corte d'appello secondo cui il mancato rispetto dell'originaria modalità di notifica ordinata dal giudice (ossia a mezzo fax), sarebbe stata imposta dalla sopravenuta entrata in vigore del D.L. n. 179 del 2012, trattandosi di disciplina processuale soggetta al principio tempus regit actum, senza che ciò abbia determinato la violazione dell'art. 148 c.p.p. c. 2 bis, tenuto peraltro conto della più recente giurisprudenza di questa Corte sul punto, secondo cui in tema di notifiche ai difensori, l'art. 148 c.p.p. c. 2 bis consente la notifica "con mezzi tecnici idonei", tra cui va ricompresa la trasmissione telematica se certificabile, e ciò a prescindere dall'emanazione da parte del Ministero della giustizia dei decreti attuativi, destinati a regolamentare l'utilizzo della P.E.C., secondo quanto previsto dalla L. 18/10/2012, n.179, art. 16 (Sez. 2, n. 50316 del 16/09/2015). Quanto sopra, pertanto, destituisce di fondamento anche la correlata eccezione secondo la quale nel circondario del tribunale di Milano non potrebbero essere eseguite notifiche telematiche per quanto riguarda gli atti giudiziari relativi ai processi penali.”.
Anche la sezione V penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45000 del 26/10/2016, ritiene di non doversi discostare dall’orientamento appena enunciato e che, comunque, almeno fin ora, sembra essere quello consolidato.
Il Procuratore generale chiedeva venisse dichiarata l’inammissibilità del ricorso in quanto il primo ed il secondo motivo dovevano considerarsi inammissibili perchè con il ricorso in cassazione possono essere dedotti solo vizi di nullità previsti dall’articolo 127 c.p.p. c. 5 e quindi vizi relativi alla corretta instaurazione del procedimento camerale finalizzato al vaglio dell’opposizione ed alla celebrazione della relativa udienza, nel caso concreto insussistenti considerando che si era comunque instaurato il contraddittorio che aveva consentito alle parti offese di presentare l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione.
Il Collegio tratta, quindi, congiuntamente Il primo ed il secondo motivo di gravame, riguardando entrambi la disciplina della notifica degli atti attraverso l’utilizzo della posta elettronica certificata e così decide:
“Questa Corte ha già avuto modo di osservare che in tema di notifiche ai difensori, l’art. 148 c.p.p. c. 2 bis consente la notifica “con mezzi tecnici idonei”, tra cui va ricompresa la trasmissione telematica se certificabile, e ciò a prescindere dall’emanazione da parte del Ministero della giustizia dei decreti attuativi, destinati a regolamentare l’utilizzo della P.E.C., secondo quanto previsto dalla L. 18/10/2012, n. 179 art. 16 (Sez. 2, n. 50316 del 16/09/2015). In ogni caso, ai sensi dell’articolo 184 c.p.p., la pretesa nullità degli avvisi è sanata avendo gli stessi raggiunto i corretti destinatari, tanto che, ad esito della comunicazione della richiesta di archiviazione, si era redatto e presentato regolare atto di opposizione e, a seguito dell’avviso del deposito del decreto di archiviazione, si era proposto ricorso a questa Corte. E ne’ l’opposizione, ne’ il ricorso si erano limitati a censurare il difetto del contraddittorio”.
Rispetto alla precedente decisione n. 43947 del 18/10/2016 della terza sezione penale della Suprema Corte, viene introdotto ulteriore motivo volto a scongiurare la nullità della notifica degli atti effettuata tramite PEC, quello del c.d. raggiungimento dello scopo; ma, anche tale riferimento, non rappresenta una vera e propria novità, considerando che già la Suprema Corte con la sentenza n. 44732 del 24/10/2016 aveva dichiarato infondata la doglianza di eventuali vizi ravvisabili nelle modalità di notificazione del provvedimento impugnato a mezzo di posta elettronica certificata “dovendo gli stessi ritenersi comunque sanati per essersi la parte destinataria della relativa notificazione avvalsa, ex art. 183 c.p.p. c. 1 lett. b), della facoltà al cui esercizio l'atto è preordinato, mediante la presentazione di tempestiva impugnazione prima al Tribunale e quindi a questa Corte di legittimità, ai sensi - rispettivamente - degli artt. 310 e 311.
Il raggiungimento dello scopo dell'atto, costituito dalla tempestiva presentazione da parte del difensore dei motivi di impugnazione riguardanti il provvedimento effettivamente gravato, è, invero, idoneo a produrre l'effetto sanante dell'eventuale nullità, di tipo intermedio, in cui fosse incorsa la procedura di notificazione dell'atto soggetto a gravame (Sez. 6 n. 5647 del 23/01/2013, che ha affermato il principio - di valenza generale e certamente estensibile al caso in esame - con riguardo al vizio di notifica dell'avviso di deposito dell'ordinanza applicativa della misura custodiate nei confronti dell'estradando).
Il ricorrente neppure ha rappresentato alcuna situazione idonea ad arrecare un vulnus concreto al diritto di difesa, tale da pregiudicarne o condizionarne i tempi e modi di esercizio, come conseguenza della notificazione a mezzo pec, così da rendere evanescente lo stesso interesse al motivo di doglianza”.